Le comunità rurali nella Sardegna medievale (secoli XI-XV)

2004 
«L’esperienza legislativa dei Giudicati e successivamente l’esperienza della legislazione nazionale […], sono state le esperienze giuridicamente piu intense della Sardegna, anche se in modi diversi […], e sono piu intimamente penetrate nelle consuetudini locali, determinandone spesso la crisi totale, altre volte consentendo, stimolando e condizionando sul lato esterno, quella storia, interna al progresso delle consuetudini originarie, che definisce il piu vasto orizzonte culturale delle esperienze autonome e originarie della cultura sarda, pur nei suoi residui arcaici». Cosi Antonio Pigliaru, professore di Filosofia del diritto nell’Universita di Sassari, poneva nel suo La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico (1959) il problema del rapporto tra la tradizione consuetudinaria e il sistema giuridico codificato. Pigliaru, ispirandosi alle teorie di Santi Romano, di Widar Cesarini Sforza e di Giuseppe Capograssi sulla pluralita degli ordinamenti, riteneva che la societa agro-pastorale sarda avesse elaborato un sistema di norme e al suo interno, un «codice della vendetta», strutturato come un ordinamento giuridico autonomo, che avrebbe regolato le relazioni tra gli individui prescindendo dalle istituzioni dominanti, molto spesso identificate con gli apparati repressivi dello Stato (tribunali, carceri, caserme dei carabinieri). In sostanza Pigliaru ipotizzava che le comunita rurali della Sardegna avessero conservato inalterato nel tempo un patrimonio consuetudinario che affondava le radici negli istituti della normativa statutaria trecentesca e in particolare nella Carta de Logu d’Arborea.
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